È legittimo il diniego opposto dal Comune ad una richiesta di accesso ad ogni documento comunque denominato relativo al diritto di elettorato attivo del richiedente e alla sua residenza per un periodo di 13 anni: è quanto affermato dal TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, nella sent. 16 maggio 2022, n. 822, in quanto la richiesta “presenta evidenti connotati di genericità, indeterminatezza, sia dal punto di vista contenutistico che dal punto di vista temporale, e, nel contempo, carattere di esploratività”.
Secondo la giurisprudenza, “In linea di principio, non può pretendersi che l’istante in sede di accesso agli atti specifichi dati (quali il numero di protocollo e la data di formazione di un atto) non in suo possesso; tuttavia è necessario che siano fornite all’Amministrazione – specie, a fronte di un’attività provvedimentale assai risalente nel tempo – indicazioni precise e circostanziate che consentano di individuare, con certezza, gli atti richiesti, a prescindere dal compimento di defaticanti attività di ricerca ed elaborazione degli stessi. Ciò proprio allo scopo di coniugare il diritto alla trasparenza con l’esigenza di non pregiudicare, attraverso un improprio esercizio del diritto di accesso, il buon andamento dell’Amministrazione, riversando sulla stessa l’onere di reperire documentazione inerente a un determinato segmento di attività. Richieste generiche sottoporrebbero l’Amministrazione a ricerche incompatibili sia con la funzionalità dei plessi sia con l’economicità e la tempestività dell’azione amministrativa. In altri termini, a prescindere dalla specifica indicazione della data e del numero di protocollo attribuito agli atti richiesti, non vi è dubbio come l’accesso possa costringere l’Amministrazione ad attività di ricerca e di elaborazione dati, di guisa che la relativa istanza non può essere generica, eccessivamente estesa o riferita ad atti non specificamente individuati” (TAR Lazio, Roma, sez. II, sent. 9 dicembre 2020, n. 13188).
In termini conformi, ricordiamo anche la sent. 8 aprile 2021, n. 2318, del TAR Campania, Napoli, sez. VI, nella quale è stato affermato che “L’istanza, quindi, non può essere generica, eccessivamente estesa o riferita ad atti non specificamente individuati, anche in una ottica di buona fede e di correttezza, oltre che di leale collaborazione, nei rapporti tra l’Amministrazione e consociati, in ossequio al principio di proporzionalità e di ragionevolezza”.