Ente in dissesto: esclusa l’ottemperanza al pagamento di una somma di denaro

In merito alle conseguenze della dichiarazione di dissesto, l’art. 248, comma 2, del TUEL (Decreto Legislativo n. 267/2000) esclude qualsivoglia possibilità di pagamento di debiti pregressi, se non per il tramite della procedura rimessa all’organo straordinario di liquidazione di cui agli artt. 252 e ss. dello stesso decreto legislativo, sancendo l’inammissibilità di ogni azione esecutiva individuale, categoria alla quale va ascritto anche il giudizio di ottemperanza rivolto all’esecuzione di una sentenza, o atto equiparato, del giudice ordinario di condanna al pagamento di una somma di denaro: è quanto ribadito dal TAR Campania, Napoli, sez. II, nella sent. 27 gennaio 2022, n. 547 confermando un noto e consolidato orientamento (cfr., ex multis, TAR Campania, Napoli, sez. VIII, sent. 19 aprile 2021, n. 2464).

La paralisi, fino all’approvazione del rendiconto della gestione di cui all’art. 256, comma 11, del TUEL delle azioni esecutive individuali è in linea con la ratio e lo scopo della gestione liquidatoria, ispirata al principio della “creazione di una massa separata affidata alla gestione di un organo straordinario, distinto dagli organi istituzionali dell’ente locale”, poiché “se i debiti accertati in via giurisdizionale posteriormente, ma riferibili a fatti antecedenti, potessero essere portati ad esecuzione direttamente nei confronti dell’Ente comunale, non solo verrebbe frustrata la stessa ratio e lo scopo della gestione liquidatoria, ma sarebbe pregiudicata la gestione delle funzioni ordinarie del Comune, prima che esso torni ad uno stato di riequilibrio finanziario, mettendo a rischio l’esercizio delle stesse funzioni e dei servizi fondamentali svolti dal Comune, che non potrebbe sostenere sul piano finanziario i costi di tali funzioni e servizi, essendo di fatto in uno stato di insolvenza (…)Infatti, se lo scopo delle norme sullo stato di dissesto è quello di salvaguardare le funzioni fondamentali dell’ente in stato di insolvenza, permettendogli di recuperare una situazione finanziaria di riequilibrio e, quindi, di normalità gestionale e di capienza finanziaria, che altrimenti sarebbe compromessa dai debiti sorti nel periodo precedente, è evidente che tale interesse pubblico risulta prevalente, in base ad un giudizio di bilanciamento e di razionalità, rispetto agli interessi individuali e patrimoniali dei privati ancorché accertati con provvedimenti giurisdizionali” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sent. 12 gennaio 2022, n. 1).

Ciò in quanto, “la funzione del dissesto (…) non si differenzia da quella degli organi del fallimento, finalizzata a soddisfare i creditori presidiando la par condicio che caratterizza tipicamente la relazione fra questi ultimi”; esso “subentra, infatti, quando l’ente non può garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistono nei confronti dell’ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte e serve proprio a garantire che l’adempimento dei crediti avvenga nel rispetto di tutte le posizioni liquide ed esigibili e nella consapevolezza che la capienza dei beni presenti e futuri di cui all’art. 2740 c.c. è comunque limitata (e quindi potenzialmente scarsa)” (Consiglio di giust. amm. per la Regione Siciliana, sent. 27 maggio 2021, n. 477), così rinvenendosi nella disciplina in questione un bilanciamento ragionevole tra la tutela della classe dei creditori in generale e la salvaguardia delle funzioni ordinarie dell’ente al cui riequilibrio finanziario tende la procedura di dissesto.

 

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