Il D.P.C.M. 11 marzo 2020 (ri)propone il lavoro agile nella P.A. per contrastare la diffusione del COVID-19: forse rientrato il rischio di (involontaria?) vanificazione del telelavoro agevolato

 

Il Decreto del presidente del Consiglio dei Ministri del 11 marzo 2020 che, nello stesso giorno in cui l’emergenza coronavirus è stata dichiarata come pandemia dall’OMS, ha disposto la chiusura di tutte le attività commerciali non essenziali, si è occupato anche di lavoro agile.

Sembrerebbe essere stato posto rimedio agli indesiderati effetti, sostanzialmente caducatori (anche impliciti) e di “vuoto normativo” che il precedente D.P.C.M. del 9 marzo 2020 aveva prodotto, o almeno rischiato di produrre, all’istituto in questione (ce n’eravamo occupati proprio ieri qui: https://www.cuzzola.it/2020/03/11/il-telelavoro-torna-dattualita-ai-tempi-del-covid-19-rischio-di-schizofrenia-normativa-tra-lobiettivo-di-promuoverlo-e-il-rischio-di-rendere-tutto-vano-tentativi-di-indicazioni-o/)

Con un’opportuna riconsiderazione esplicita, il comma 6 dell’art. 1 ha previsto – sostanzialmente riproponendo quanto già contenuto nei Decreti precedenti al 9 marzo e di cui (forse inavvertitamente) era stata disposta la cessazione dell’efficacia – che, ferme restando le raccomandazioni ai datori di lavoro di promuovere la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti dei periodi di congedo ordinario e di ferie (secondo quanto disposto dall’articolo 1, comma 1, lettera e), del D.P.C.M. del 08.03.2020) “e fatte salve le attività strettamente funzionali alla gestione dell’emergenza, le pubbliche amministrazioni, assicurano lo svolgimento in via ordinaria delle prestazioni lavorative in forma agile del proprio personale dipendente, anche in deroga agli accordi individuali e agli obblighi informativi di cui agli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81 e individuano le attività indifferibili da rendere in presenza.”

I pericoli dell’assenza di copertura, già richiamati, avevano destato perplessità visto che il D.P.C.M. del 09.03.2020: per un verso, aveva esteso a tutta la penisola le misure già previste per le (ormai ex) “zone rosse”, tra cui la promozione del lavoro agile, per come da ultimo indicate dall’art. 1 del D.P.C.M. del giorno precedente; per altro verso – e invero inopinatamente – aveva disposto, in virtù dell’art. 2 comma 2, la cessazione dell’efficacia proprio delle previsioni sul così detto “lavoro super agile”, contenute nell’art. 3 del provvedimento del 08.03.2020. Sono trascorsi, dunque, alcuni giorni senza una fonte legittimante dell’istituto.

Ma l’ultimo Decreto ha fugato i dubbi circa il pericolo dell’assenza di formali deroghe al procedimento più complesso previsto per promuovere il telelavoro, per come disciplinato dalla L. 81/2017: tali deroghe sono state anzi esplicitamente previste.

Può ritenersi configurato un salvataggio in extremis, dunque, rispetto al pericolo di obliterazione di una serie di misure che, in disparte i dubbi sull’effettiva e immediata realizzabilità, hanno corso il rischio di una vita (molto) breve, di essere cioè vanificate nella loro perseguibilità ancor prima di entrare a regime.

Sotto il profilo operativo, valgono le medesime indicazioni sull’attivazione del lavoro agile già segnalate(https://www.cuzzola.it/2020/03/11/il-telelavoro-torna-dattualita-ai-tempi-del-covid-19-rischio-di-schizofrenia-normativa-tra-lobiettivo-di-promuoverlo-e-il-rischio-di-rendere-tutto-vano-tentativi-di-indicazioni-o/)

Resterà da verificare l’effettiva risposta della P.A., specie degli enti locali di minori dimensioni, per i quali potrà essere utile un’eventuale attività di supporto, in termini di applicazione di questo istituto risultato snellito dagli interventi (e nelle intenzioni) del regolatore.

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