Il telelavoro torna d’attualità ai tempi del Covid-19: rischio di schizofrenia normativa tra l’obiettivo di promuoverlo e il rischio di rendere tutto vano. (Tentativi di) indicazioni operative

Negli ultimi giorni il telelavoro è stato oggetto di particolare attenzione del Governo nell’attività di normazione in via d’urgenza.

A seguito della diffusione epidemica del virus COVID-19, tra le misure di contrasto previste dal Governo si rinviene, all’interno del Decreto Legge n. 6 del 23.02.2020 (“Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”), la “sospensione o limitazione dello svolgimento delle attività lavorative” nelle aree interessate “salvo specifiche deroghe, anche in ordine ai presupposti, ai limiti e alle modalità di svolgimento del lavoro agile”.

Il D.P.C.M. di pari data, all’art. 3, ha così previsto l’applicazione in via automatica del telelavoro “ad ogni rapporto di lavoro subordinato nell’ambito di aree considerate a rischio nelle situazioni di emergenza nazionale o locale nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni e anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti”.

Tale disposizione è stata però soppressa dall’art. 2, comma 2, del D.P.C.M. del 25.02.2020, il quale ha previsto per le zone focolaio la possibilità del lavoro agile per come individuato dagli artt. 18-23 della L. 81/2017 anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti” e con assolvimento degli obblighi di in via telematica “anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro.”

Nella stessa direzione, con riguardo alle pubbliche amministrazioni, la Direttiva n. 1 del 25.02.2020 emanata dal Ministro della Pubblica Amministrazione contiene la raccomandazione al potenziamento del lavoro agile, mediante l’individuazione di modalità semplificate e temporanee di accesso alla misura, senza distinzione di categoria di inquadramento e di tipologia di rapporto di lavoro.

Il D.P.C.M. 01.03.2020, che contiene disposizioni attuative al D.L. 6/2020, all’art. 4, comma 1, lett. a), ripropone quanto già indicato dal precedente D.P.C.M. del 25.02.2020.

Il successivo D.P.C.M. del 04.03.2020 fa perdere efficacia a quello precedente (si veda art. 4, comma 2), nondimeno riproponendo le medesime previsioni quanto al lavoro agile con la disposizione di cui all’art. 1, lett. n).

Ancora, il D.P.C.M. 08.03.2020 prevede l’integrale caducazione dei due D.P.C.M. precedenti (1° e 4 marzo), ma anch’esso ripropone un’analoga regolazione del lavoro agile (art. 2, lett. r).

Un susseguirsi di provvedimenti governativi che, sotto questo profilo, nulla innovano ma si sostituiscono a vicenda, ripresentando sempre la stessa previsione.

La Circolare del Ministro per la P.A. n. 1 del 04.03.2020 ha previsto, in questo senso, ulteriori misure di incentivazione.

E nelle more, il Decreto Legge 2 marzo 2020, n. 9 (“Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”), all’art. 18 rubricato “Misure di ausilio allo svolgimento del lavoro agile da parte dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e degli organismi di diritto pubblico”, ha previsto l’incremento fino al 50% del valore iniziale delle convenzioni, i quantitativi massimi delle vigenti convenzioni-quadro di Consip per la fornitura di personal computer portatili e tablet; si è occupato poi di prevedere misure straordinarie per l’approvvigionamento dei dispositivi.

Con il D.P.C.M. del 09.03.2020 si assiste a rilevanti novità, che rendono tuttavia complicato raccapezzarsi in questo momento con riguardo all’istituto in questione: da un lato, vengono estese a tutta la penisola le predette misure, per come da ultimo indicate dall’art. 1 del D.P.C.M. del giorno precedente; dall’altro lato (quasi inspiegabilmente), proprio le previsioni sul così detto “lavoro super agile”, contenute nell’art. 3 del provvedimento del 08.03.2020, perdono di efficacia in virtù dell’art. 2 comma 2 dell’ultimo provvedimento.

Formalmente, viene così a mancare la fonte legittimante del lavoro super agile, che pure è (o sarebbe) stato esteso all’intero territorio nazionale! Né tali previsioni, per come erano state elaborate nei vari DD.P.C.M., trovano copertura nel D.L. n. 6/2020, di rango superiore. Per lo snellimento delle procedure per il lavoro agile rimane unicamente l’art. 18 del D.L. n. 9/2020, che si occupava prioritariamente delle procedure di approvvigionamento di dispositivi, oltre ad eliminare il connotato di sperimentalità dal lavoro agile.

Ma in assenza di formali deroghe, ad oggi non più vigenti ed efficaci, alla procedimentalizzazione certamente più complessa prevista dalla L. 81/2017, i margini di manovra per un incentivo all’accelerazione di tali forme di lavoro vengono quasi del tutto bloccati.

Ciò a meno di non voler ritenere che, essendo cessate le norme del D.P.C.M. 8 marzo solo “ove incompatibili” con quelle del D.P.C.M. 9 marzo ed avendo quest’ultimo esteso all’intero territorio nazionale le previsioni del giorno precedente, allora la parte relativa al lavoro agile debba considerarsi ancora efficace.

Un’opzione interpretativa, questa, invero dubbia, che si giustificherebbe solo alla luce di un criterio teleologico e sistematico e in virtù del peculiare quadro emergenziale che vive il Paese. Certamente, una maggiore ponderazione e attenzione agli effetti abrogativi (anche impliciti) sarebbe stata opportuna.

Ove si ritenesse di aderire a questa impostazione, alla luce del quadro normativo desumibile dai documenti citati e attesa la situazione d’emergenza, potrebbe ritenersi sufficiente un atto autorizzativo del personale dirigenziale che consenta ad ogni dipendente la possibilità di espletare la prestazione lavorativa a distanza, purché ne sussistano le condizioni: tra queste, va segnalata la necessità di individuare in maniera chiara le prestazioni che il dipendente dovrà svolgere a distanza e di poterle monitorare e verificare; ancora, deve essere garantito un supporto multimediale al dipendente, che può mettere anche a disposizione della P.A. i propri dispositivi, sebbene tale aspetto ponga una serie di ulteriori questioni da affrontare sotto il profilo della sicurezza della strumentazione e della riservatezza.

Ogni situazione dovrà essere verificata nel concreto, sulla base della specifica organizzazione e del funzionigramma dell’ente, nonché delle esigenze dello stesso e del personale a disposizione, al fine di individuare gli atti più opportuni da adottare, nel rispetto dei diritti dei soggetti coinvolti e – almeno allo stato attuale – con attenzione al contributo di tutti alla preservazione della salute pubblica, che questo tempo impone di considerare come prioritaria.

Il telelavoro è solo un aspetto della più ampia nozione di “smart working”. Pur con i (notevoli) limiti descritti del quadro normativo poco chiaro, la situazione emergenziale in cui si trovano i nostri enti locali in questo tempo può rappresentare un’occasione di crescita e miglioramento sotto questo profilo, passando da una fase sperimentale – invero da molti spesso neanche avviata – ad un’abitudine ordinaria, che potrà essere senz’altro agevolata dopo aver fatto esperienza dei benefici di questa diversa ma parimenti efficace modalità di prestazione dell’attività lavorativa.

 

 

 

Per Interdata Cuzzola S.r.l.

avv. Pasquale Cuzzola

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