Dichiarazione di dissesto del Comune: estinte tutte le azioni esecutive pendenti e vietate le nuove

L’esecuzione del giudicato in cui un Comune risalta essere soccombente non può essere utilmente proseguita una volta intervenuta la dichiarazione di dissesto finanziario dell’Ente: è quanto ribadito dal TAR Campania, Napoli, sez. VII, sent. 29 settembre 2022, n. 5985.

L’art. 248 del TUEL (Decreto Legislativo n. 267/2000), rubricato “Conseguenze della dichiarazione di dissesto”, prevede, infatti, che “dalla data della dichiarazione di dissesto e sino all’approvazione del rendiconto di cui all’articolo 256 non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell’ente per i debiti che rientrano nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione”, precisando, altresì, che “le procedure esecutive pendenti alla data della dichiarazione di dissesto, nelle quali sono scaduti i termini per l’opposizione giudiziale da parte dell’ente, o la stessa benché proposta è stata rigettata, sono dichiarate estinte d’ufficio dal giudice con inserimento nella massa passiva dell’importo dovuto a titolo di capitale, accessori e spese”; la finalità è, quindi, di paralizzare, sia pure temporaneamente e fino a quando non sia maturato il presupposto di legge (ovvero l’approvazione del rendiconto), iniziative esecutive che, singolarmente intraprese, possano determinare un’alterazione della par condicio creditorum.

Il successivo art. 252 comma 4 chiarisce che “L’organo straordinario di liquidazione ha competenza relativamente a fatti ed atti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio”;

Il giudizio di ottemperanza che abbia ad oggetto provvedimenti giurisdizionali del giudice ordinario recanti condanna della P.A. al pagamento di somme di danaro è equiparabile al giudizio di esecuzione, e, pertanto, rientra nell’ambito di applicazione della richiamata disposizione normativa dell’art. 248 comma 2 del TUEL, atteso che la procedura di liquidazione dei debiti è essenzialmente dominata dal principio della par condicio dei creditori, in relazione alla molteplicità dei debiti contratti da un ente pubblico poi dichiarato dissestato, sicché la tutela della concorsualità comporta, in linea generale, l’inibitoria anche del ricorso di ottemperanza in quanto misura coattiva di soddisfacimento individuale del creditore (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 26 novembre 2007, n. 6035; TAR Sicilia, Catania, sez. I, sent. 9 luglio 2012, n. 1768).

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