Come è noto, il Fondo crediti di dubbia esigibilità (FCDE) assolve alla funzione di impedire che spese esigibili siano coperte da entrate di incerta riscossione e costituisce “uno strumento contabile preordinato a garantire gli equilibri di bilancio attraverso la preventiva sterilizzazione di una certa quantità di risorse necessarie a bilanciare sopravvenienze che possano pregiudicarne il mantenimento durante la gestione. La previsione di dette poste deve essere congrua per due ragioni: da un lato affinché la copertura del rischio sia efficacemente realizzata, dall’altro affinché lo stanziamento in bilancio non sottragga alla gestione risorse in misura superiore al necessario” (cfr. delib. n. 09/SEZAUT/2016/INPR, 18 marzo 2016).
Come evidenziato dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. Lazio, nella delib. n. 110/2025/PRSP, depositata il 16 ottobre 2025, in termini operativi il FCDE opera in due momenti distinti:
- durante la programmazione, nel bilancio di previsione, l’ente iscrive uno stanziamento dedicato — che non dà luogo a impegni e, quindi, genera una economia —;
- a consuntivo, invece, nel rendiconto, destina al fondo una quota del risultato di amministrazione, così da riflettere effettivamente il rischio di mancata riscossione.
Una corretta quantificazione del fondo, in coerenza con il principio applicato di contabilità finanziaria (punto 3.3, es. n. 5), “determina la veridicità del risultato di amministrazione e preserva l’ente da disavanzi occulti e da potenziali squilibri di competenza e di cassa, allorché sia utilizzato l’avanzo di amministrazione libero, in realtà non disponibile” (cfr. delib. n. 32/SEZAUT/2015/INPR, 30 novembre 2015).





