Come ricordato dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. Emilia-Romagna, nella delib. n. 69/2025/PRSE, depositata il 9 giugno 2025, il comune ha una duplice facoltà in merito alla gestione dei residui attivi.
Qualora l’ente locale, nella verifica annuale dei residui attivi di cui all’art. 228 del TUEL, decida, come prima opzione, di mantenerli nel conto del bilancio, oltre alla perdurante esistenza degli elementi essenziali dell’accertamento dell’entrata (ragione del credito, sussistenza di un idoneo titolo giuridico, quantificazione della somma da incassare, individuazione del debitore e scadenza del credito), deve verificare anche l’effettiva esigibilità del credito riguardante le condizioni di solvibilità del debitore, che devono essere illustrate e motivate nella relazione al rendiconto. Per l’effetto, ove risulti che il credito, di fatto, non sia più esigibile, lo stesso deve essere stralciato dal conto dei residui
e inserito nel conto del patrimonio, tra le immobilizzazioni finanziarie, fino al compimento del termine prescrizionale (art. 230 del TUEL, ripreso dal punto n. 49 del principio contabile n. 3 dell’Osservatorio sulla finanza e la contabilità degli enti locali), allo spirare del quale deve essere eliminato anche da tale conto, con contestuale riduzione del patrimonio (inter alia, Corte dei conti, Sez. contr. Lombardia, del. n. 60/2021).
Come prescritto dal principio contabile 4/2, punto 9.1, la seconda opzione riguarda, invece, la facoltà concessa “(…) al responsabile del servizio competente alla gestione dell’entrata”, “trascorsi tre anni dalla scadenza di un credito di dubbia e difficile esazione non riscosso” di “valuta(re) l’opportunità di operare lo stralcio di tale credito dal conto del bilancio, riducendo di pari importo il fondo crediti di dubbia esigibilità accantonato nel risultato di amministrazione. In tale occasione, ai fini della contabilità economico patrimoniale, il responsabile finanziario valuta la necessità di adeguare il fondo svalutazione crediti accantonato in contabilità economico patrimoniale (che pertanto può presentare un importo maggiore della quota accantonata nel risultato di amministrazione) e di riclassificare il credito nello stato patrimoniale”. Tale opzione ha il pregio di assicurare una rappresentazione di un risultato depurato da eventuali rischi di mancata riscossione dei residui attivi nei limiti dell’effettiva consistenza reale e permette, altresì, di diminuire la probabilità di utilizzo dell’anticipazione di tesoreria.
Come già posto in risalto nei precedenti cicli di controllo, la corretta operazione di riaccertamento dei residui attivi e passivi è pertanto operazione fondamentale ai fini della esatta determinazione del risultato di amministrazione del rendiconto della gestione e quindi dell’attendibilità di questo, talché una sovrastima dei residui attivi o una sottostima di quelli passivi può portare a un’errata determinazione dell’avanzo/disavanzo dell’ente, inducendo in errore l’organo di indirizzo politico che approva il bilancio e, al contempo, i terzi, cittadini, creditori e organi di controllo.
A tale adempimento si riferiscono le specifiche prescrizioni indicate dall’art. 228, c. 3, del TUEL, nonché quelle contenute nel principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria di cui all’allegato n. 4/2 al D. Lgs. 118/2011 (punto 9.1), le quali postulano l’esigenza di operare una rigorosa ed attenta ricognizione delle voci classificate nei residui, finalizzata a mantenere in bilancio solo quelle per le quali la riscossione/pagamento possano essere previsti con un ragionevole grado di certezza.