Buoni spesa COVID-19: niente accesso ai nominativi per il consigliere comunale

I nominativi dei beneficiari dei buoni spesa distribuiti dal Comune durante l’emergenza COVID-19 non sono accessibili al consigliere comunale: è quanto affermato dal Consiglio di Stato, sez. V, nella sent. 11 marzo 2021, n. 2089, che ha riformato la sent. n. 574/2020 del TAR Basilicata la quale, al contrario, aveva riconosciuto l’accesso.

Come è noto, l’art. 43, comma 2, del TUEL (Decreto Legislativo n. 267/2000) attribuisce al diritto di accesso del consigliere un carattere «incondizionato» ogniqualvolta esso riguardi atti dell’amministrazione che «possano essere utili all’espletamento delle proprie funzioni»; tuttavia, tale diritto non può essere «“tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona» (così la Corte costituzionale nella sentenza 19 maggio 2013, n. 85), visto che, in un ordinamento costituzionale in cui i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano «in rapporto di integrazione reciproca» non ordinato su base gerarchica, non è possibile «individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri» e, dunque, una «illimitata espansione» dei primi a danno di questi ultimi. Gli stessi diritti vanno, invece, coordinati secondo «un ragionevole bilanciamento», a tutela della dignità della persona, e dunque nel rispetto del principio personalistico che trova nei principi di uguaglianza formale e sostanziale dell’individuo e nei doveri di solidarietà sociale la sua formale enunciazione (artt. 3, commi 1 e 2, e 2 Cost.).

Alla regola del ragionevole bilanciamento propria dei rapporti tra diritti fondamentali di pari rango non si sottrae l’accesso del consigliere comunale.

È vero che esso ha ampia estensione, maggiore dell’accesso agli atti amministrativi ai sensi della Legge 7 agosto 1990, n. 241 (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, sent. 13 agosto 2020, n. 5032), desumibile dalla lettera del citato art. 43, comma 2, del TUEL, secondo cui il consigliere comunale ha diritto di ottenere dagli uffici dell’amministrazione presso cui esercita il proprio mandato politico-amministrativo e dai suoi enti strumentali «tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato»; ma è altrettanto vero che tale estensione non implica che esso possa sempre e comunque esercitarsi con pregiudizio di altri interessi riconosciuti dall’ordinamento meritevoli di tutela e, dunque, possa sottrarsi al necessario bilanciamento con questi ultimi; ciò non solo perché ad esso si contrappongono diritti egualmente tutelati dall’ordinamento ma anche per il limite funzionale intrinseco cui il diritto d’accesso è sottoposto, espresso dall’art. 43, comma 2, del TUEL con il richiamo alla utilità delle notizie e delle informazioni possedute dall’ente locale rispetto alla funzione di rappresentanza politica del consigliere comunale.

Il descritto limite implica che il bisogno di conoscenza del titolare della carica elettiva debba porsi in rapporto di strumentalità con la funzione «di indirizzo e di controllo politico – amministrativo», di cui nell’ordinamento dell’ente locale è collegialmente rivestito il Consiglio Comunale (art. 42, comma 1, del TUEL) e alle prerogative attribuite singolarmente al componente dell’organo elettivo (art. 43). La strumentalità del diritto di accesso del consigliere comunale ora evidenziata è stata di recente ribadita dal Consiglio di Stato nella sentenza del 13 agosto 2020, n. 5032, laddove si è sottolineato che lo scopo del diritto di accesso del consigliere comunale è quello «di valutare – con piena cognizione – la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio e per promuovere tutte le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale»; ed è inoltre stata circoscritta da un’altra pronuncia (sent. 2 gennaio 2019, n. 12), in cui si è affermato non essere «sufficiente rivestire la carica di consigliere per essere legittimati sic et simpliciter all’accesso, ma occorre dare atto che l’istanza muova da un’effettiva esigenza collegata all’esame di questioni proprie dell’assemblea consiliare».

Tanto premesso, nel caso specifico, il Comune, pur negando l’accesso ai nominativi dei beneficiari, aveva comunque fornito al consigliere i dati relativi agli importi complessivamente ricevuti dall’amministrazione comunale per i buoni spesa e a quelli erogati, al numero delle domande presentate dai residenti e di quelle ancora pendenti, ai riferimenti temporali e ai presupposti reddituali su cui le domande di provvidenze economiche sono state decise, nonché il relativo esito. Così operando, secondo il Consiglio di Stato, il Comune ha fornito al consigliere ogni informazione utile per l’esercizio delle funzioni di rappresentanza politico-amministrativa inerenti alla carica, realizzando un equilibrato bilanciamento tra le prerogative ad essa connesse con le contrapposte esigenza di tutela della riservatezza della persona; conseguentemente, il consigliere è stato posto nelle condizioni di accertare se la gestione delle provvidenze economiche sia stata legittima ed efficace e dunque di promuovere in sede consiliare ogni iniziativa finalizzata a sollecitare un controllo dell’organo di indirizzo politico di cui è componente sull’operato dell’amministrazione.

Nessuna utilità aggiuntiva, secondo la Corte, deriverebbe al consigliere dal conoscere anche i nominativi dei beneficiari e, al contrario, detta conoscenza farebbe venire meno il riserbo su un dato personale consistente nello stato di bisogno del soggetto richiedente il buono pasto: come efficacemente evidenziato, “La conoscenza dei nominativi dei soggetti in condizione economica disagiata, non strumentale all’esercizio delle funzioni di indirizzo politico-amministrativo si tradurrebbe quindi in un inutile sacrificio delle ragioni di riservatezza di questi ultimi”.

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