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L’offerta priva di utile presentata da una cooperativa sociale o da una ONLUS non è necessariamente anomala

Non è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, poiché anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio significativo, sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa, sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l’impresa dall’essere aggiudicataria e aver portato a termine un appalto pubblico: è quanto ribadito dal TAR Lombardia, Milano, sez. I, nella sent. 24 dicembre 2020, n. 2592, confermando un orientamento già evidenziato in precedenza dalla giurisprudenza (cfr., ad esempio, Consiglio di Stato, sez. V, sent. 17 gennaio 2018, n. 269).

Tale principio vale a maggior ragione tenuto nel caso di cooperative sociali e Onlus, che per loro natura agiscono per scopi sociali e mutualistici e non commerciali, avendo una vocazione non lucrativa. La finalità lucrativa non è estensibile a soggetti che operano per scopi non economici, bensì sociali o mutualistici, per i quali l’obbligatoria indicazione di un utile d’impresa si tradurrebbe in una prescrizione incoerente con la relativa vocazione non lucrativa, con l’imposizione di un’artificiosa componente di onerosità della proposta.

Ne deriva che, diversamente da quanto accade per gli enti a scopo di lucro, l’offerta senza utile presentata da un soggetto che tale utile non persegue non è, solo per questo, anomala o inaffidabile, in quanto non impedisce il perseguimento efficiente di finalità istituzionali che prescindono da tale vantaggio strictusensu economico (Consiglio di Stato, sez. V, sent. 13 settembre 2016, n. 3855).