Il Comune è tenuto al pagamento del contributo unificato nel processo tributario

Il Comune, rispetto allo Stato, non rientra tra le amministrazioni pubbliche cui estendere la prenotazione a debito del contributo unificato nel processo civile e amministrativo e, conseguentemente, è tenuto al pagamento del contributo unificato nel processo tributario: è quanto chiarito dalla Corte di Cassazione Civile, sez. V, nella sent. 29 ottobre 2020, n. 23879.

Come è noto, rappresenta principio generale dell’assetto tributario che lo Stato e le altre Amministrazioni parificate non sono tenute a versare imposte o tasse che gravano sul processo per la evidente ragione che lo Stato verrebbe ad essere al tempo stesso debitore e creditore di se stesso, con la conseguenza che l’obbligazione non sorge.

Si tratta, quindi, sostanzialmente di una esenzione fiscale, ma che vale esclusivamente nei confronti dell’amministrazione pubblica. Difatti nella ipotesi cui la controparte è soccombente relativamente alle spese, la stessa è tenuta al pagamento in favore dell’erario delle spese prenotate a debito, analogamente a quanto sarebbe avvenuto nei confronti di qualsiasi altra parte vittoriosa.
L’istituto della prenotazione a debito, pertanto, se per un verso esenta la pubblica amministrazione dal pagamento degli importi delle imposte e delle tasse – ivi compresi quelli afferenti contributo unificato – che gravano sul processo, per altro verso, assolve alla funzione, sotto il profilo amministrativo contabile, di evitare che di detta esenzione possa giovarsi la controparte in caso di soccombenza e di sua condanna alle spese (cfr.  Sez. U, Sentenza n. 9938 del 2014, in motivazione).

Secondo la Corte, occorre, pertanto, stabilire se un Comune rientri o meno tra le altre (rispetto allo Stato) amministrazioni pubbliche cui estendere la prenotazione a debito del contributo unificato.

Tenuto conto della ragione sottesa alla previsione di esenzione dello Stato e delle altre Amministrazioni allo stesso parificate dall’obbligo di versare imposte o tasse che gravano sul processo (evitare, cioè, che lo Stato verrebbe ad essere al tempo stesso debitore e creditore di se stesso), la risposta al quesito è da ritenersi negativa, visto che, secondo i giudici, infatti, ragione non è rinvenibile nei rapporti tra lo Stato e gli enti pubblici territoriali.

Vediamo perché.

La struttura del bilancio comunale è stabilita dal Testo Unico degli Enti Locali (T.U.E.L.) ed è equivalente per il bilancio preventivo e il bilancio consuntivo.

La prima grande suddivisione è tra voci di entrata e voci di spesa. Le entrate rappresentano le risorse finanziarie a disposizione del Comune nel corso dell’anno, tra cui le tasse e i contributi che il Comune prevede di incassare nel suo territorio e i trasferimenti che riceverà da enti regionali, statali o altri enti pubblici (es: INPS).

Da ciò si evince che i Comuni beneficiano di una serie di entrate sotto forma di tasse che sono del tutto svincolate dalle entrate dello Stato.

Ulteriore corollario di tale impostazione è che i Comuni non possono essere equiparati all’amministrazione dello Stato (a differenza, ad esempio, dell’Agenzia delle Entrate nell’attività di riscossione delle entrate, appunto, statali), laddove per l’inquadramento tra le altre amministrazioni pubbliche ammesse alla prenotazione a debito di imposte o di spese a suo carico occorrerebbe un previo intervento legislativo (al pari di quanto è accaduto per le Agenzie fiscali con di. n. 16/2012, conv.  in I. n. 44/2012), nel caso di specie mancante.

Invero, esclusa l’applicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 1, co. 2, d.lgs. n. 165/2001 (che contiene una definizione di “pubblica amministrazione” riferibile al solo settore del pubblico impiego), ai nostri fini rileva l’art. 3, lett. q), del dPR n. 115/2002, il quale richiede espressamente, per estendere la prenotazione a debito ad altre (rispetto a quella statale) amministrazioni pubbliche, una “norma di legge”.

Depone nello stesso senso l’art. 11 del dPR n. 115/2002 (intitolato “Prenotazione a debito del contributo unificato”), a mente del quale “Il contributo unificato è prenotato a debito nei confronti dell’amministrazione pubblica ammessa da norme di legge alla prenotazione a debito di altre imposte e spese a suo carico, nei confronti della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato e, nell’ipotesi di cui all’articolo 12, comma 2, nei confronti della parte obbligata al risarcimento del danno”.

È la stessa Costituzione, del resto, all’art. 114, a porre i Comuni in termini di alterità rispetto allo Stato.

La natura giuridica di tributo erariale del contributo unificato è stata sancita dalla sentenza n. 73/2005 della Corte Costituzionale (confermata dalla Cassazione, sent. n. 5994/2012) per le seguenti ragioni:

  • è stato istituito da una legge con l’obiettivo di semplificare e sostituire tributi erariali gravanti sui procedimenti giurisdizionali (imposta di bollo, tassa di iscrizione a ruolo, diritti di cancelleria e chiamata in causa dell’ufficiale giudiziario);
  • sono stati mantenuti per questo tributo gli stessi casi di esenzione previsti dalla precedente legislazione per i tributi da esso sostituiti;
  • con il contributo unificatosi attua un prelievo coattivo teso a finanziare le spese per gli atti giudiziari;
  • è commisurato forfettariamente al valore dei processi e non al costo del servizio giudiziario erogato.

Come i tributi, il versamento del contributo è doveroso, è collegato a una spesa pubblica e si riferisce a un presupposto economicamente rilevante.  Il contributo unificato è corrisposto mediante versamento ai concessionari o in conto corrente postale intestato alla sezione di tesoreria provinciale dello Stato.

Da ciò deriva che il versamento in esame giammai potrebbe essere effettuato in favore del Comune, sicché non si giustificherebbe in siffatta evenienza la mera annotazione dell’anticipazione a spese dello Stato (per l’ipotesi di soccombenza in giudizio), ai fini del successivo eventuale recupero in caso di esito vittorioso del contenzioso.

 

 

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