I limiti sulla c.d. clausola sociale negli appalti

L’osservanza al rispetto delle norme di legge e contrattuali in materia di salvaguardia dell’occupazione del personale in forza del gestore uscente contenute nella clausola sociale del disciplinare di gara non può prevedere alcun obbligo di assumere “tout court” i dipendenti occupati nel precedente appalto: è quanto affermato dal TAR Puglia, Lecce, sez. III, sent. 31 agosto 2020, n. 965.

Al riguardo, infatti, secondo la giurisprudenza ormai consolidata, la clausola sociale prevista dai C.C.N.L. deve essere interpretata come un adempimento da osservare sì a garanzia del mantenimento della continuità occupazionale, ma che deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante, non imponendogli il pieno riassorbimento dei lavoratori già impiegati nell’appalto se ciò non è compatibile con l’organizzazione d’impresa e con le caratteristiche proprie del nuovo appalto e, a fortiori, non precludendogli la possibilità di ridefinire i livelli e il monte ore del personale in ragione della mutata organizzazione del servizio.

In particolare, si è ritenuto che “la c.d. clausola sociale deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando, altrimenti, essa lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà d’impresa, riconosciuta e garantita dall’art. 41 della Costituzione, che sta a fondamento dell’autogoverno dei fattori di produzione e dell’autonomia di gestione propria dell’archetipo del contratto di appalto, sicché tale clausola deve essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente (cfr. Cons. Stato, VI, n. 5890/2014) (…)” (Consiglio di Stato, sez. III, sent. 30 marzo 2016, n. 1255).

Inoltre, sempre secondo giurisprudenza consolidata, la clausola sociale non può imporre l’applicazione di un determinato Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, rientrando tale scelta nelle prerogative organizzative dell’imprenditore: in particolare, è stato affermato che “La scelta del contratto collettivo da applicare ad un appalto pubblico rientra nelle prerogative organizzative dell’imprenditore con il solo limite della coerenza con l’oggetto dell’appalto” (Consiglio di Stato, sez. V, sent. 12 settembre 2019, n. 6148).

 

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