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Le conseguenze della cancellazione dall’albo del gestore della riscossione dei tributi

La cancellazione dall’albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi, ai sensi dell’art. 11, comma 3, del DM MEF n. 289 dell’11 settembre 2000, comporta, come previsto dal successivo art. 14, commi 1 e 2, la decadenza da tutte le gestioni riguardanti il servizio di accertamento e riscossione dei tributi, nonché l’obbligo in capo all’ente concedente di diffidare il gestore decaduto a non effettuare alcuna ulteriore attività inerente il servizio e di procedere “all’immediata acquisizione della documentazione riguardante la gestione, redigendo apposito verbale in contraddittorio”: è quanto affermato dal Consiglio di Stato, sez. II, nella sent. 11 giugno 2020, n. 3719.

Secondo i giudici di Palazzo Spada, trattasi di un obbligo legale correlato, peraltro, al preminente interesse pubblico all’accertamento e alla riscossione delle imposte che ha rilievo prevalente nell’ordinamento essendo collegato alla salus rei publicae, anche laddove riguardi gli enti locali. Conseguentemente, è stata ritenuta legittima la richiesta, da parte del Comune affidatario, subito dopo la risoluzione del contratto, di restituzione di banche dati fiscali, documenti e prodotti informatici riguardanti i medesimi tributi, che rappresentano strumenti per l’esercizio della potestà impositiva degli enti locali e che il gestore decaduto non può più utilizzare per cogente disposizione di legge.